Musica

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giovedì 29 gennaio 2015

ROMA / Alla ricerca dei suoni perduti. Strumenti musicali a Palazzo Venezia

Coll. Giulini- Spinetta Bertoni, Bologna, 1707
ROMA - Si è inaugurata il 27 gennario e resterà aperta fino al primo marzo al Museo del Palazzo di Venezia di Roma, diretto da Andreina Draghi, la mostra "Alla ricerca dei suoni perduti. Mostra di strumenti musicali a Palazzo Venezia della collezione Giulini" dedicata ad una preziosissima raccolta di strumenti musicali di raro valore storico. Gli strumenti presentati sono clavicembali, spinette, fortepiani, arpe, salteri, mandolini e chitarre, fra di essi il clavicembalo dipinto da Luca Giordano nella seconda metà del secolo XVII.
Il visitatore potrà ascoltare il suono registrato degli strumenti, mentre su un alcuni monitor verranno proiettate immagini relative ai filmati dei manufatti esposti. L'accostamento all'audio, farà sì che il visitatore possa usufruire di esperienza completa, al fine di una maggiore consapevolezza della musica e degli antichi strumenti partecipando alla passione di una collezionista privata, Fernanda Giulini, che da decenni si dedica alla cura di questa inestimabile collezione.
In occasione della mostra, il clavicembalo “Ottoboni” torna a pochi metri dalla sua prima residenza presunta, mentre il fortepiano di Nannette e Matthäus Stein ci restituisce il mondo sonoro di Mozart, che del loro padre, costruttore anch’egli, era un grande estimatore.

INFORMAZIONI:
Orari
Martedì/domenica - 8.30 – 19.30
Chiuso Lunedì
La biglietteria chiude alle 18.30
tel. +39 06 6780131

Costo del biglietto
Intero € 5,00 – Ridotto € 2,50
Il biglietto comprende l’ingresso al Museo e la visita alla mostra

FONTE: Comunicato stampa

venerdì 23 gennaio 2015

TORINO / Daniele Gatti e le Nove Sinfonie di Beethoven al Lingotto

Daniele Gatti
TORINO - Sarà Daniele Gatti a salire sul podio dell'Auditorium “Giovanni Agnelli” per una nuova integrale delle Sinfonie di Beethoven – proposta in esclusiva italiana – che si snoderà fra il 2015 e il 2016 nell'ambito dei Concerti del Lingotto. Primo concerto, martedì 27 gennaio, con le Sinfonie n. 1, n. 2 e n. 5; mentre nel secondo – venerdì 29 maggio – il programma comprende le Sinfonie n. 4 e n. 3 “Eroica”. L'integrale si protrarrà nel 2016 concludendosi con l'esecuzione della Sinfonia n. 9. Al Lingotto, Daniele Gatti dirigerà la Mahler Chamber Orchestra, una fra le “creazioni” musicali di Claudio Abbado (assiduo interprete beethoveniano), cui va il pensiero a un anno dalla scomparsa e al quale Gatti è succeduto sul podio in diverse occasioni recenti. Ad Abbado Gatti ama spesso fare riferimento ricordandone la costante attitudine alla ricerca e all’approfondimento del repertorio.
Una nuova “integrale” per Gatti che al Lingotto aveva già proposto nel 2012 le quattro Sinfonie di Brahms, in due serate consecutive, con i Wiener Philharmoniker. Le tre Sinfonie in programma nel primo dei concerti del nuovo ciclo descrivono con efficacia il punto di partenza e l’approdo mediano del sinfonismo di Beethoven, dai folgoranti tentativi d’esordio della Prima e Seconda Sinfonia con cui cercò di eguagliare e superare i modelli di Haydn e Mozart, alla partitura forse più iconica della sua produzione (e di tutta la “musica classica”), la celebre Quinta, che per gli ascoltatori dell’epoca fu clamorosa e fortemente toccante, continuando a rappresentare un’esperienza intensa per tutte le generazioni a seguire. Un programma che termini con la Sinfonia n 5 è quindi ideale per prendere commiato dal pubblico non con un’affermazione perentoria ma con una promessa di ulteriori sviluppi e con la massima tensione verso l’appuntamento successivo. «Bisogna far uscire il pubblico dai concerti – afferma spesso Gatti – con qualche punto interrogativo, non solo con certezze».
Direttore musicale dell’Orchestre Nationale de France dal 2008, dal 2016 Gatti sarà alla guida della Royal Concertgebow Orchestra, l’orchestra alla quale in molti guardano come modello di eccellenza internazionale contemporaneo. Il musicista milanese, ospite abituale del Festival di Bayreuth e del Metropolitan di New York, dove ha diretto acclamati allestimenti del Parsifal, è  stato invitato negli ultimi anni al Festival di Salisburgo per produzioni di rilievo come La bohéme (regia di Damiano Michieletto e con Anna Netrebko), Die Meistersinger von Nürnberg (regia di  Stefan Herheim con Michael Volle) e Il trovatore (regia di Alvis Hermanis con Anna Netrebko, Francesco Meli e Placido Domingo); prossimamente Daniele Gatti tornerà a Verdi dirigendo Macbethal Théâtre des Champs-Élysées di Parigi e Falstaff alla Scala, mantenendo saldo il rapporto coi Wiener Philharmoniker coi quali sarà a Vienna e poi in una lunga tournée brahmsiana che arriverà fino agli Stati Uniti.

La biglietteria è aperta nei giorni sabato 24, lunedì 26 e martedì 27 gennaio 2015 in via Nizza 280 interno 41, dalle 14.30 alle 19, e un’ora prima del concerto, dalle 19.30. Poltrone numerata da 23 a 52 euro, e ingressi non numerati da 20 e 13 euro (ridotto per i giovani con meno di trent’anni) in vendita un quarto d’ora prima del concerto secondo disponibilità. Informazioni: 011.63.13.721.

La stagione 2014-2015 è resa possibile grazie al sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Piemonte, Città di Torino, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, FCA Automobiles, Exor, Reale Mutua Assicurazioni, Banca del Piemonte, Lingotto, IPI, Lavazza, Sadem Arriva, Unione Industriale, Vittoria Assicurazioni, Banca Regionale Europea, Guido Castagna, PKP Investments, AON, Generali, Banca Sella, Amiat.

www.lingottomusica.it

martedì 20 gennaio 2015

MILANO / Alla Scala “Die Soldaten”: Hermanis e Metzmacher esaltano una sublime “opera tritacarne”

Successo meritatissimo alla prima Scaligera del capolavoro di Zimmermann
in coproduzione con Salisburgo: uno spettacolo da ricordare

Die Soldaten”, Hermanis e Metzmacher
esaltano una meravigliosa e sublime “opera tritacarne”

Di Elena Percivaldi

Fotografie Brescia-Amisano © Teatro alla Scala
Venticinque cantanti solisti e un’orchestra sterminata che dalla buca si espande nei palchi: in tutto 112 professori inclusi 15 percussionisti, 4 dei quali sui i palchi doppi nei palchi e sei (Stage Bands I, II e III) nella Sala Prove dell’Orchestra e riprodotti live in sala da altoparlanti collocati nel soffitto. Infine un complesso “Jazz Combo” di 4 elementi collocato in barcaccia. Queste sono le cifre, nude e crude ma eloquenti, che hanno caratterizzato la prima milanese di“Die Soldaten”, il capolavoro operistico di Bernd Alois Zimmermann (1918-1970). Un lavoro difficilissimo, terribile, di una complessità inaudita. Ma che ha impressionato per la capacità di veicolare tramite la musica (per quanto atonale e quindi per il vasto pubblico non certo semplice e familiare) tutte le tensioni, le tragedie, i terrori, l'impotenza dell'uomo del Secolo breve.
Il testo deriva da un lavoro di Jakob Lenz (1751-1792), lettone cresciuto a Königsberg ed esponente originale, purtroppo negletto, dello Sturm und Drang. Fu un intellettuale geniale, ma anche un cane sciolto, un uomo problematico e tormentato che finirà per litigare con Goethe(e separarsi da lui, che pure gli aveva garantito la sua amicizia, in modo improvviso e brusco) e fuggirà a Mosca , dove farà il mediatore culturale tra tedeschi e russi. Fino alla tragica fine: sarebbe stato trovato riverso per strada, in una notte di maggio. Il suo corpo sepolto chissà dove.
Zimmermann, anch'egli uomo tormentato (rinunciò alla carriera ecclesiastica, visse di espedienti e fece musica di ogni genere, infine morì suicida) venne a contatto col testo nel 1957 grazie all'allora direttore dell’Opera di Colonia, che gli suggerì di musicarlo. Nacque così, con un lunga gestazione fatta di ripensamenti, “Die Soldaten”, la cui prima andò in scena con successo proprio a Colonia il 15 febbraio 1965. Nonostante Wolfgang Sawallisch, che avrebbe dovuto dirigerla nel 1960, l'avesse bollata come “irrappresentabile”.
In effetti di questo gigantesco, mostruoso capolavoro la rappresentazione è veramente ardua, ai limiti dell'umano. E ciò stride se si pensa che la vicenda è in sé banale. E' la storia della giovane Marie, borghese promessa a un giovane che l’ama e che viene sedotta da un ufficiale che poi non manterrà le promesse. Passando da un soldato all'altro, la ragazza perderà l'onore e cadrà sempre più in basso. Fallirà anche l'unica possibilità di riscatto offertale dalla Contessa de la Roche, madre del giovane conte che la frequentava, prendendola come dama di compagnia. Stuprata da un ennesimo soldato, Marie finirà a mendicare per strada e non sarà riconosciuta nemmeno dal suo stesso padre.
Zimmermann, ricusando il lieto fine previsto da Lenz con la ricongiunzione della figlia col genitore, rende la vicenda una metafora potente ed eterna dell'ingiustizia, della solitudine e della disperazione dell'uomo. Un grido primordiale e belluino, amplificato fino al parossismo da una musica scomposta, algida, stridente. Dove tutti siamo vittime e carnefici. Dove non c'è speranza né redenzione. Dove neanche l'organo di una chiesa, nemmeno le note echeggiate di una corale bachiana possono offrire conforto. Dove la coscienza, laddove esiste (nella storia è impersonata dal cappellano militare), resta sempre inascoltata. E dove anche l'urlo più forte è destinato a spegnersi nel silenzio. Zimmermann ha previsto, rompendo ogni unità aristotelica, che il tempo dell'azione – fatto salvo il luogo, le Fiandre - fosse “ieri, oggi e domani”: perché l'uomo, disperato solo e annichilito, innocente e colpevole di fronte al peccato che è suo e di tutti, lo è e lo sarà sempre.
Al di là del testo, ciò che rende questo lavoro speciale, terribile e sublime è comunque la partitura, che però per detonare al massimo il suo potenziale devastante deve avere come catalizzatore una regia di assoluto livello. E così è stato, alla Scala e prima ancora a Salisburgo (dove l'opera è andata in scena in coproduzione sempre con la Scala durante il Festival 2012), grazie a un duo d'eccezione: il regista Alvis Hermanis e il direttore d'orchestra Ingo Metzmacher. La lode va a entrambi, a tutti e al neosovrintendente scaligero Alexander Pereira che l'ha fortemente voluta sotto la Madonnina. Il pubblico milanese ha apprezzato. E con questa rappresentazione – e non temiamo la retorica – finalmente il Piermarini è ritornato a rivestire il ruolo che gli spetta: ossia quello di grande teatro internazionale, laboratorio di idee e di prodotti di assoluto livello intellettuale, culturale e artistico, che può ancora fare la Storia.

Fotografie Brescia-Amisano © Teatro alla Scala


E veniamo allo spettacolo. “Die Soldaten” malgrado il titolo ha poco a che fare con la guerra, che è solo un pretesto. Perché si sa, dove c'è guerra ci sono soldati e dove si sono soldati ci sono le loro primarie necessità da soddifare, tra cui il divertimento e il sesso. Tutto o quasi ruota attorno al sesso in questo allestimento, ma (e sia detto a lode del regista) non vi è mai, dicesi mai, alcunché di forzato e volgare. La scena è una grande scuola di equitazione (a Salisburgo era stato presentato nei vasti spazi della Felsenreitschule), qui ricreata su due registri utilizzando le immense possibilità del palco. Davanti alla vetrata si trovano in simultanea tutti i “luoghi” dell'opera: la stanza di Marie, il salotto borghese di Stolzius, il caffè dei soldati, il privé della Contessa. Dietro, cavalli veri si muovono e sono cavalcati da veri soldati e amazzoni. Le scene di seduzione, gli amplessi, persino lo stupro di Marie avvengono tutti o in una sorta di cabina trasparente – che si muove sospinta dai protagonisti sulla scena qua e là sul palco – oppure nel pagliaio dove trova requie la soldataglia. L'erotismo è sempre presente, anzi è il vero motore mobile delle vicende. Si parla sguaiatamente di amplessi. Le donne sono tutte etichettate come sgualdrine. I soldati si masturbano in gruppo spiando Marie e pensando a chissà cosa. Sulle pareti ci sono videoproiezioni di bordelli d'epoca. Ma questa fallocrazia dai tratti bestiali e primordiali non è fine a se stessa: rimanda per via metaforica a un passato arcaico, quando il matriarcato fu sconfitto per la prima volta proprio da questa nuova visione del mondo militarizzata e virilizzata, che faceva della conquista e della guerra i suoi motivi di rivalsa e di trionfo. La donna passò da dea a oggetto. E precipitò per sempre.
Scene, luci e video (che si devono rispettivamente al regista coadiuvato da Uta Gruber-Ballehr, Gleb Filshtinsky e Sergey Rylko) sono tutti estremamente efficaci, così come molto belli sono i costumi di Eva Dessecker che riportano, come l'ambientazione, a un generico inizio Novecento, forse la Prima Guerra Mondiale, che coincide, guarda caso, con il primo conflitto di massa concepito e condotto con tecniche “moderne” e inumane, e la cui portata – anche psicologica - su un'intera generazione fu immensa.
Ma rimandiamo per altri spunti di riflessione all'efficace libretto di sala scaligero pubblicato per l'occasione (nel quale si segnala la traduzione del libretto, appositamente eseguita, di Quirino Principe). Veniamo alla parte musicale. Metzmacher conferma la sua grande empatia con questa partitura dando il giusto spazio in maniera impeccabile a ogni nota, a ogni dissonanza, a ogni sibilo e a ogni grido. Una direzione estrememente efficace e magnetica, che cattura e strega rendendo l'ascolto un'esperienza – nel vero senso della parola - totalizzante.
Passando alle voci, va detto subito che in questo contesto sono sottoposte durante tutta l'esecuzione ad un tour de force agghiacciante, con continui salti dal registro grave e centrale all'acuto e sovracuto. Si canta, si parla, si grida, in questa diabolica “macchina tritacarne” (la definizione la prendiamo, coerentemente, dalla battaglia di Verdun del 1916) dell'ugola. Tanto più che alla Scala, come a Salisburgo, sono stati eseguiti dal vivo anche i passaggi all’inizio del IV atto per i quali lo stesso compositore raccomandava di mandare una registrazione vista la loro estrema difficoltà. E' evidente che solo cantanti dalla tecnica più che sopraffina possono sperare di riuscire a portare a termine un compito così estremo. Ma ce l'hanno fatta. Tutti. A cominiciare da Laura Aikin, che ha saputo superare agilmente tutte le eccezionali difficoltà della partitura dando voce e corpo a una Marie fragile ma non sottomessa, ingenua ma mai rassegnata: sfaccettature evidenziate da una superba prova da attrice. La scena finale, con quell'urlo straziante levato al cielo a braccia alzate, in penombra, come una'arcaica orante mentre gli strumenti pian piano si spengono riportandoci al nulla primordiale, ha una forza scultorea che non si potrà facilmente dimenticare.
Buona la prova anche di Alfred Muff, un Wesener perennemente sospeso tra amor paterno e opportunismo: lasciato da parte l'iniziale tentennamento nei confroni delle avances di Desportes, decide poi di convincere Marie a tentare l'arrampicata sociale cedendogli. Un padre che non protegge la figlia ma la consegna alle lubriche attenzioni di un viscido e fedifrago soldato non è un padre che si rispetti. Sarà lui la causa della perdizione. E per questo sarà punito nel modo più atroce: la perderà per sempre e quando la ritroverà per caso mendìca per strada, la caccerà senza nemmeno riconoscerla. Una mancata agnizione che ha l'odore acre della condanna eterna.
Thomas E. Bauer interpreta uno Stolzius fragile e insabile che però prende consapevolezza di sé e del mondo man mano che l'azione si dipana. Da bamboccio mai cresciuto e succube (Freud docet) della madre – mentre lei rampogna i facili costumi della fidanzata egli le si rannicchia tremebondo in grembo – si trasforma in spietato vendicatore dell'onor perduto (e dell'innocenza, non solo di Marie ma anche sua!) portando con sé col veleno l'infido Desportes nella morte. Così facendo riscatta la sua fragilità iniziale con un gesto rivoluzionario e di titanico ribellismo. Vocalmente più che promosso, considerando anche gli estremi limiti a cui questo ruolo da baritono è spinto.
Daniel Brenna è un Desportes mascalzone, cinico e falso che del dongiovanni non possiede il fascino ma solo la spregevole dissolutezza, acuita dalla rozzezza dei modi e dei costumi. L'impervia parte vocale è risolta brillantemente, le note acute sorrette da un importante e sempre controllato falsetto.
Buona la prova di Okka von der Damerau, che tratteggia una Charlotte dalla vocalità piena e dalla personalità spiccata. Più che discreti Wolfgang Ablinger-Sperrhacke (capitano Pirzel),Matthias Klink (il giovane Conte), Matjaž Robavs, Morgan Moody e Boaz Daniel (ufficiali Haudy, Mary e Eisenhardt). Ok anche Renée Morloc, nei panni della severissima madre di Stolzius, e Cornelia Kallisch (la madre di Wesener e nonna di Marie): quest'ultima una sorta di inquietante fantasma di spirito profetico dotato, che mentre discosta culla i fanciulleschi sogni di sponsali della nipote, presagisce già, ineluttabile, la tragedia finale. Delle tre dee-madri “totemiche” di quest'opera dai mille reconditi significati emerge però, monumentale,Gabriela Beňačkova, ossia la Contessa de la Roche madre del giovane Conte. La sua è stata una presenza scenica di grande peso accompagnata da una vocalità maestosa, che in una parte vertiginosamente impervia per lo sforzo richiesto ha mantenuto un controllo una emissione e un volume veramente impressionante. Chapeau.
Alla fine, lunghi e meritatissimi applausi per tutti, e la netta impressione di aver assisitito a uno spettacolo che resterà negli annali scaligeri (e non solo) come uno dei più riusciti, geniali, inquietanti e terribili della sua lunga storia.

Prima rappresentazione: 17 gennaio. Repliche: 20, 25, 27, 31 gennaio; 3 febbraio.


Pubblicata anche su Classicaonline

mercoledì 14 gennaio 2015

MILANO / Alla Scala arriva "Die Soldaten", il capolavoro di Zimmermann. Sul podio Ingo Metzmacher

Die Soldaten . Brescia-Amisano © Teatro alla Scala
MILANO - “Se ci fosse un Guinness dei primati per le opere, Die Soldaten vincerebbe in molte categorie” scherza il regista Alvis Hermanis. I primi aspetti che colpiscono del capolavoro di Bernd Alois Zimmermann sono il gigantismo e la complessità di una produzione che prevede 25 cantanti solisti e un’orchestra sterminata che dalla buca si espande nei palchi: in tutto 112 professori inclusi 15 percussionisti, 4 dei quali occuperanno i palchi doppi situati nel 1° e 2° ordine a sinistra, e 6 (Stage Bands I, II e III) saranno dislocati nella Sala Prove dell’Orchestra e riprodotti live in sala da altoparlanti collocati nel soffitto; infine un complesso “Jazz Combo” di 4 elementi è collocato nella barcaccia stampa.
Ma Die Soldaten è anche un capolavoro totalizzante, un classico del Novecento non solo musicale capace di atterrire con complessità inaudita e livelli di tensione parossistici e nello stesso tempo di emozionare e commuovere il pubblico, come testimonia il successo caloroso ottenuto da tutte le produzioni e in particolare da questa, presentata al Festival di Salisburgo nel 2012.
Per aiutare il pubblico ad accostarsi all’universo affascinante e complesso di Zimmermann il Teatro alla Scala ha organizzato prima di ogni recita un incontro preparatorio nel Ridotto dei Palchi a cura del professor Franco Pulcini. L’incontro avrà luogo alle ore 19 (apertura porte ore 18.30) e sarà aperto gratuitamente a tutti i possessori di abbonamento o biglietto, fino a esaurimento dei posti. Prima rappresentazione:   17 gennaio. Repliche: 20, 25, 27, 31 gennaio; 3 febbraio.

L’opera
È il 1957 quando il direttore dell’Opera di Colonia suggerisce a Zimmermann (1918-1970) il testo teatrale di Jakob Lenz (1751-1792) come soggetto per un’opera (c’era un precedente, composto da Manfred Gurlitt nel 1930). Lenz, nato a Cēsvaine (Seßwegen) in Lettonia, cresciuto a Königsberg e per un certo tempo amico di Goethe, è stato un esponente di spicco dello Sturm und Drang: Die Soldaten è ricordato anche come applicazione pratica delle Osservazioni sul Teatro in cui Lenz teorizza il superamento delle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione; la breve e tragica vita dello scrittore, del quale dopo un duro litigio con Goethe vaga per diversi paesi, prossimo alla follia, fino al trasferimento a Mosca dove viene trovato morto per strada una notte di maggio, ispira il racconto “Jakob Lenz” di Büchner, da cui nel 1978 Wolfgang Rihm trae l’opera omonima. Zimmermann, cresciuto negli anni del nazismo e traumatizzato dall’esperienza della guerra (era stato in Polonia, Francia e Russia prima di essere riformato per malattia), è certamente colpito dagli aspetti di polemica antimilitarista ma anche e soprattutto dalla modernità del linguaggio e dal superamento delle unità di tempo e di luogo. “Dio è uno soltanto in tutte le sue opere, e deve esserlo anche il poeta” aveva scritto Lenz; Zimmermann parla di “Unità dell’azione interiore, deduzione della molteplicità dei fenomeni a partire da una unità logicamente rigorosa, ma capace di aprirsi, di svilupparsi…”. Dal punto di vista musicale, il modello di questa unità è la perfetta costruzione musicale del Wozzeck (tratto da Büchner: si disegna così una precisa costellazione estetica, e sarà interessante ascoltare le due opere dirette dal medesimo maestro nel corso della stagione scaligera). Come Berg, Zimmermann costruisce i suoi numeri musicali (15 scene nei Soldaten come in

Wozzeck) adottando in massima parte il linguaggio dalla dodecafonia ma rifacendosi a forme della musica strumentale classica e preclassica: Ciaccone, Ricercari, Toccate... Il riferimento a queste forme è tuttavia più simbolico che letterale, e l’universo musicale che Zimmermann, memore anche dei suoi anni di lavoro per la radio, include nel suo lavoro è vastissimo: dal jazz, rappresentato da una band nella scena della ballerina andalusa nel Café d’Armentières nel II atto e presente come suggestione in molti altri luoghi dell’opera, a due corali dalla Matthäuspassion di Bach che irrompono nell’intermezzo del II atto insieme al Dies Irae, alla musica elettronica e concreta. Ne emerge una “forma pluralistica del teatro musicale” la cui ambizione totalizzante (o apocalittica) è riaffermare una concezione del tempo non lineare ma circolare presentando un intreccio di piani temporali che in alcune scene (II e IV atto) giunge alla rappresentazione simultanea di azioni diverse. Non a caso, se il dramma di Lenz era ambientato nelle Fiandre nel 1775, la partitura dell’opera di Zimmermann (il cui libretto aggiunge alla “commedia” di Lenz quattro poesie) reca l’indicazione “Tempo: oggi, ieri e domani”. Agostino, Bergson, Husserl sono tra le fonti di ispirazione del pensiero del compositore. In questo circolo allucinato sono prigionieri tutti i personaggi, condizionati, scrive Zimmermann, “non dal destino ma piuttosto dalla costellazione fatale delle classi sociali, delle circostanze, dei caratteri, a partire dalla quale essi subiscono in fondo innocentemente eventi ai quali non possono sfuggire”.
Il progetto originale di Zimmermann prevedeva che il pubblico sedesse al centro di una dozzina di gruppi orchestrali separati: un’impostazione visionaria che nel 1960, insieme alla complessità della partitura, fece recedere l’Opera di Colonia dal progetto nonostante il forte sostegno di Hans Rosbaud, cui l’opera sarà dedicata. Secondo il Sovrintendente Oskar Schuh e il Direttore Musicale Wolfgang Sawallisch il lavoro era semplicemente ineseguibile. Il rifiuto spinse l’autore a importanti ripensamenti ma non ad abbandonare l’impresa. Nel 1963 la Westdeutscher Rundfunkorchester diretta da Michael Gielen presentò un estratto sinfonico dell’opera, confutando almeno in parte la tesi dell’ineseguibilità. Le ultime due scene del III atto, il IV atto e gli intermezzi furono composti nel 1963/64, e Die Soldaten andò finalmente in scena a Colonia il 15 febbraio 1965.

L’allestimento
Nonostante la relativa rarità di esecuzione, o proprio perché ogni messa in scena costituisce uno sforzo produttivo straordinario e un evento culturale di primo piano, Die Soldaten ha impegnato alcuni dei maggiori registi del nostro tempo. La prima esecuzione ebbe luogo a Colonia nel 1965, per la direzione di Michael Gielen e la regia di Hans Neugebauer. La prima italiana avviene a Firenze nel 1977. Tra gli allestimenti più importanti si ricordano quello di Harry Kupfer a Stoccarda alla fine degli anni ’80, quello della Semperoper di Dresda con l’acclamata regia di Willy Decker nel 1995 e quello della Biennale della Ruhr nel 2006 con la messa in scena di David Pountney. Nel 2013 l’opera di Zurigo propone un allestimento di Calixto Bieito con la direzione di Marc Albrecht, mentre è dello scorso maggio la versione di Andreas Kriegenburg per l’Opera di Monaco con Kirill Petrenko sul podio.
Il presente allestimento è stato presentato nei vasti spazi della Felsenreitschule nel corso del Festival di Salisburgo nell’agosto 2012, con Ingo Metzmacher alla testa dei Wiener Philharmoniker: ma la versione scaligera sarà radicalmente ripensata anche in base alle diverse caratteristiche del palcoscenico. “Con infinita sottigliezza il regista lettone Alvis Hermanis rende ciascuno di noi colpevole di voyeurismo. Ogni dettaglio di questa produzione è rifinito fino alla perfezione”, scrisse allora Shirley Apthorp sul Financial Times, aggiungendo che se un difetto si poteva trovare era la troppa bellezza nell’interpretazione di un’opera così corrosiva e brutale: “Sia la seduttiva bellezza della messa in scena di Hermanis sia la direzione meticolosa di Ingo Metzmacher sembrano smussare gli spigoli della dura partitura di Zimmermann”. Sul versante musicale, notava George Loomis sul New York Times, “Oltre a un magistrale lavoro sull’insieme, Ingo Metzmacher dirige con palpabile dedizione per questa partitura… Laura Aikin, alla testa di un numeroso cast, è impressionante nella parte della protagonista Maria e garantisce che le numerose note acute previste siano tutte al loro posto. Impressionante il lamento di Gabriela Benackova come Contessa de la Roche”.

Nello spettacolo alla Scala, come a Salisburgo, la partitura di Zimmermann sarà interamente eseguita dal vivo inclusi i passaggi all’inizio del Quarto atto per i quali, in considerazione dell’estrema complessità esecutiva, il compositore aveva raccomandato di utilizzare un nastro registrato. Le modifiche della partitura, per quanto riguarda l’utilizzo di nastri registrati, corrispondono alle rappresentazioni del Festival di Salisburgo e sono state riprese nella stessa forma al Teatro alla Scala.

La trama
La storia della caduta di Marie, borghese promessa a un giovane che l’ama e sedotta da un ufficiale che non mantiene le sue promesse, ha radice nelle esperienze di Lenz. Nel 1774 il barone Friedrich Georg von Kleist, al servizio del quale Lenz si era trasferito a Salisburgo, si era impegnato a sposare la giovane borghese Cleophe Fibich, per poi partire lasciandola tra le braccia del fratello minore, non senza che anche Lenz se ne innamorasse riassumendo poi la vicenda in un Diario. Proprio questo diario, insieme alle considerazioni sulla moralità dei soldati espresse nel saggio Del matrimonio dei soldati (Lenz fu uno dei primi sostenitori degli eserciti popolari e nazionali in opposizione alle armate mercenarie) fu alla base del dramma Die Soldaten. Nel testo di Lenz padre e figlia alla fine si riconoscono e si abbracciano lasciando spazio alla morale esposta dalla Contessa; nell’opera la ricongiunzione non avviene e i personaggi restano nella disperazione e nella solitudine.

Riassumiamo la vicenda con le parole dello stesso compositore:
Marie, figlia di Wesener, commerciante in articoli di moda, è fidanzata con il commerciante di stoffe Stolzius. Il barone Desportes, un giovane ufficiale francese, corteggia la giovane borghese e riesce a conquistare la sua simpatia. Wesener stesso insinua nel cuore della figlia la speranza di una ascesa sociale. Marie, tuttavia, è turbata dal presentimento di quel che la attende.
Gli ufficiali amici di Desportes invitano Stolzius, che fornisce stoffe al reggimento, alla bottega del caffè, dove gli fanno notare in modo sfacciato e offensivo il rapporto tra Desportes e Marie. Stolzius, deluso, scrive una lettera a Marie la quale, a sua volta delusa, apre definitivamente il suo cuore alle avance di Desportes.
Nel frattempo gli ufficiali si divertono a modo loro. Invano il cappellano Eisenhardt e il capitano Pirzel, zimbello dei suoi commilitoni perché l'ottusità del servizio militare lo ha reso strambo, cercano di opporsi alla depravazione, alla mancanza di scrupoli, alla sfrenata avidità di piaceri dei soldati del reggimento. Quando Desportes si stanca di Marie, la passa ai suoi amici. Stolzius, per poter avere sott’occhio Marie, entra a far parte del reggimento come attendente del maggiore Mary, un amico di Desportes. Afflitto e umiliato, si trova testimone della successione di avvenimenti che riducono Marie a “puttana di soldati” – così la madre di Stolzius, indignata, la definisce. Quando anche il figlio della Contessa de la Roche si innamora di Marie, la contessa se la porta in casa, per proteggerla dalle insidie e allo stesso tempo evitare gesti folli da parte del figlio.
Marie, tuttavia, cerca sempre di riallacciare la relazione con Desportes. Egli si sbarazza definitivamente di lei attraendola in una dimora in realtà non sua, per spingerla tra le braccia del suo attendente. Disonorata e affranta, Marie finisce in strada, mentre la Contessa, suo padre e i suoi famigliari la cercano invano. Stolzius, per vendicare la sua fidanzata, avvelena Desportes, poi con il veleno si suicida. ‒ Un giorno una ragazza di strada chiede l’elemosina a Wesener. Wesener non riconosce sua figlia.
(Traduzione dal tedesco di Lucilla Castellari)
:




Die Soldaten

Bernd Alois Zimmermann

Orchestra del Teatro alla Scala

Nuova produzione 
in coproduzione con Festival di Salisburgo

Il pubblico che desideri approfondire quest’opera complessa e affascinante, tratta dal testo settecentesco di Jakob Lenz, potrà; partecipare agli incontri introduttivi gratuiti che avranno luogo nel Ridotto dei Palchi Arturo Toscanini un’ora prima dell’inizio di ogni recita. 

Dal 17 Gennaio al 3 Febbraio 2015
Durata spettacolo: 2 ore e 30 minuti incluso intervallo
Cantato in tedesco con videolibretti in italiano, inglese, tedesco
L'OPERA IN POCHE RIGHEApri 

DIREZIONE 

Direttore
Ingo Metzmacher
Regia
Alvis Hermanis
Scene
Alvis Hermanis e Uta Gruber-Ballehr
Costumi
Eva Dessecker
Luci
Gleb Filshtinsky
Video designer
Sergej Rylko

CAST 

Wesener
Alfred Muff
Marie
Laura Aikin
Charlotte
Okka von der Damerau
Weseners alte Mutter
Cornelia Kallisch
Stolzius
Thomas E. Bauer
Stolzius' Mutter
Renée Morloc
Die Gräfin de la Roche
Gabriela Beňačková
Der junge Graf
Matthias Klink
Desportes
Daniel Brenna
Pirzel
Wolfgang Ablinger-Sperrhacke
Eisenhardt
Boaz Daniel
Mary
Morgan Moody
Haudy
Matjaž Robavs
Obrist
Johannes Stermann
Drei junge Offiziere
Paul Schweinester

Andreas Frueh

Clemens Kerschbaumer
Der Bediente der Gräfin de la Roche
Werner Friedl
Drei Faehnriche, Drei Hauptleute
Stephan Schäfer

Volker Wahl

Michael Schefts
Madame Roux
Anna-Eva Köck
Der junge Faehnrich, Ein junger Jaeger
Rupert Grössinger
Der betrunkene Offizier
Aco Biscevic
Artistin
Katharina Dröscher
Ensemble vocale “Il canto di Orfeo"
Direttori Ruben Jais e Gianluca Capuano

TREVISO / Il tenore barcellonese Alegret nel Turco di Rossini al "Del Monaco" e a Ferrara

David Alegret © Joan Tomàs / Fidelio Artist
TREVISO - Continua la stagione teatrale del Teatro Comunale "Mario Del Monaco" di Treviso, che il 28 gennaio proporrà Il turco in Italia di Gioachino Rossini (repliche il 30 gennaio e l’1 febbraio). L’opera verrà presentata in una nuova co-produzione dei teatri di Treviso e Ferrara, dell’Opéra-Théâtre de Metz Métropole e del Teatro Municipale di Piacenza: la regia di questa nuova produzione sarà di Federico Bartolani, mentre la direzione d’orchestra sarà affidata alla bacchetta di Franceso Ommassini. Protagoniste saranno le voci di David Alegret (Don Narciso), Marko Mimica (Selim), Cinzia Forte (Donna Fiorilla) e Giulio Mastrototaro (Don Geronio).

  L’impegno italiano arriva per il tenore barcellonese Alegret dopo una serie di importanti successi con due opere rossiniane, Mosè in Egitto per la Welsh National Opera (Inghilterra) e con l’Orquestra della BBC e Il Turco in Italia a Lussemburgo. Inoltre ha interpretato il Requiem di Mozart a Madrid diretto da Ivor Bolton. Prossimamente il tenore sarà protagonista di un recital di Lied nel Palau de la Música Catalana di Barcellona accompagnato al pianoforte da Rubén Fernandez Aguirre, con un programma che includerà il Dichterliebe, di Schumann, e una selezione di canzoni di Eduard Toldrà. In seguito tornerà sul palcoscenico del Gran Teatre del Liceu con Così fan tutte, interpreterà Das Lieberverbot, di Wagner, nel Teatro Real di Madrid e Il Barbiere di Siviglia per ABAO-OLBE di Bilbao, Semiramide all’Ópera di Marsiglia e ritornerà al Palau de la Musica della capitale catalana per l’oratorio La Creazione, di Haydn.

Dopo Treviso, Alegret sarà nuovamente Narciso nella stessa produzione che andrà in scena al Teatro Comunale di Ferrara (6 e 8 febbraio).

Info:
http://www.teatrocomunaleferrara.it/navigations/view/1/3/2416/Il-turco-in-italia.html

BOLOGNA / A febbraio la terza giornata italiana della ricerca artistica musicale RAMI

 
BOLOGNA - Il 6 febbraio 2015, presso il Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna, si terrà la Terza giornata italiana della ricerca artistica musicale, a cura dell’Associazione RAMI, con l’obiettivo di incrementare il dibattito sui temi della ricerca nel campo delle attività musicali in sintonia con i più aggiornati orientamenti europei, secondo i propositi dell’Associazione che vi contribuisce in maniera mirata con la propria attività, anche attraverso l’organizzazione delle precedenti prime due giornate, svoltesi al Conservatorio di Firenze nel 2013 e all’Accademia della Scala, a Milano, nel 2014.
L’iniziativa che si svolgerà a Bologna, porrà nuovamente l’accento sulla ricerca musicale intesa nella sua accezione più ampia di indagine a vocazione multidisciplinare, poliforme e variamente orientata intendendo, in particolare, stimolare i musicisti e gli studiosi di musica italiani a volgere il proprio interesse e la propria riflessione verso la conoscenza della ricerca artistica musicale. La manifestazione sarà suddivisa in due parti e comprenderà al mattino una tavola rotonda sui temi della ricerca musicale; al pomeriggio una serie di relazioni selezionate da un comitato di peer reviewers e indirizzate ai temi specifici della giornata, quali creatività, performance, didattica, comunicazione, performing arts (aree prioritarie già riconosciute a livello internazionale come gli ambiti privilegiati della ricerca artistica musicale). La sessione pomeridiana sarà arricchita da esecuzioni musicali a cura degli studenti del Conservatorio di Bologna.

Programma

ore 10:30 Saluti
Donatella Pieri, Direttore del Conservatorio di Bologna
Maurizio Pisati, Conservatorio di Bologna

ore 11:00 Tavola rotonda (moderatore: Oreste Bossini, Radio3)
Lo sviluppo della ricerca artistica tra formazione e produzione
con Peter Dejans (Orpheus Institut, Ghent), Francesco Giomi (Tempo Reale), Guido Salvetti (SEdM), Nicola Sani (Teatro Comunale di Bologna), Federico Tiezzi (Compagnia Lombardi-Tiezzi)

ore 12:30 keynote
Federica Riva, presidente di IAML-Italia
Biblioteche e ricerca nei Conservatori italiani

ore 14:15 prima sessione (moderatore: Francesco Torrigiani, Conservatorio di Firenze)
Maria Teresa Arfini, Musica da vedere e immagini da ascoltare
Emiliano Battistini, Ground to Sea in Sound Collective: music in local landscape
Ernesto Pulignano, Korrepetition, collaboration, accompanying, coaching: la didattica dell’accompagnamento pianistico nei trattati stranieri.

ore 16:15
Pseudospazio di Ilaria Tramannoni, live performance, Centro Studi & Ricerche – Conservatorio di Bologna.

ore 16:45 seconda sessione
Luca Marconi, Didattica della storia della popular music e della storia del jazz nei conservatori italiani: prospettive di ricerca.
Rosella Fanelli, La danza Katakh come tecnica di sperimentazione interpretativa.
Gabriele Manca: chiusura dei lavori

RAMI
RAMI (Ricerca Artistica Musicale in Italia) è un’associazione indipendente e no profit che si propone come piattaforma italiana dedicata ai temi critici della ricerca artistica musicale. Obiettivo principale è contribuire alla riflessione, promozione e divulgazione in area italiana del tema della ricerca artistica in generale e, in particolare, della sua messa a regime nel sistema della ricerca istituzionalizzata – strutturata e sostenibile – caratteristica dell'ambito dell'Istruzione Superiore cui i Conservatori, con Accademie e Università, appartengono a titolo di legge ormai dal 1999. Concepita per accogliere nel proprio seno soci sia individuali sia istituzionali, RAMI è stata fondata da un gruppo di Istituzioni dell'Alta Formazione Artistica significativamente rappresentativo sia per l'elevato profilo, sia dal punto di vista della loro distribuzione territoriale. I Conservatori Soci Fondatori sono rappresentati dai Direttori Enrico Pisa (Vicenza), Donatella Pieri (Bologna), Flora Gagliardi (Firenze), Claudio Proietti (Genova), Alessandro Melchiorre (Milano), Albino Mattei (Pesaro), Massimo Magri (Pescara). Il primo Consiglio Direttivo in carica è composto da cinque membri: Presidente Leonella Grasso Caprioli (Conservatorio di Vicenza), Vice Presidente Anna Maria Ioannoni Fiore (Conservatorio di Pescara), Segretario Francesco Torrigiani (Conservatorio di Firenze), Consiglieri Gabriele Manca (Conservatorio di Milano) e Carlo Fiore (Conservatorio di Palermo). Per gli scopi dell'Associazione, relativi alle implicazioni connesse alla messa a punto del Terzo Ciclo nelle Istituzioni AFAM, si fa riferimento al processo di Riforma dell'Istruzione Superiore avviato a livello europeo a partire dalla Dichiarazione di Bologna (1999), alle successive Conferenze dei Ministri Europei (in particolare Berlino 2003, Dublino 2004, Bergen 2005, Bucarest 2012), alla L. 21 dicembre 1999 n. 508 e al D.P.R 8 luglio 2005 n. 212. In virtù della riforma, anche in Italia i Conservatori e le Accademie italiane sono stati riconosciuti Istituzioni di Alta Formazione rispetto all'ambito specifico dell'arte, a pari livello quindi delle Università cui competono per tradizione i settori della formazione superiore e della ricerca scientifica. In questo quadro, le istituzioni AFAM sono chiamate ad esprimere non solo una capacità didattica di eccellenza ma, in prospettiva, anche una visibile e quantificabile attività di ricerca di livello, elemento ritenuto essenziale per il loro stesso posizionamento nello Spazio Europeo dell'Istruzione Superiore. La principale finalità di RAMI è quella di stimolare un dibattito ampio e condiviso sul tema, mirando ad evidenziare e valorizzare le specificità e la capacità di interazione della ricerca artistica musicale rispetto alla ricerca scientifica ed umanistica.

Per informazioni, l’Associazione Rami ha sede legale presso il Conservatorio di musica di Vicenza
Contrà San Domenico 33 - 36100 - Vicenza
Referente: Leonella Grasso Caprioli (presidente@associazionerami.org)