Musica

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lunedì 29 febbraio 2016

NAPOLI / La Cappella della Pietà de' Turchini cambia volto

Antonio Florio
NAPOLI - In origine era la Cappella della Pietà de' Turchini, fondata da Antonio Florio nel 1987 dopo un decennio di studio e sperimentazione, portata a notorietà internazionale con programmi rari, produzioni di opere e oltre 40 incisioni discografiche e divenuta emblema della riscoperta della musica napoletana tra il Quattrocento e l’Ottocento. Oggi – alla soglia dei trent'anni di attività – quel gruppo di “coraggiosi pionieri” assume la denominazione di Cappella Neapolitana Antonio Florio, mantenendo intatto organico e collaboratori storici che da sempre portano avanti questo progetto musicale.

Una esperienza musicale lunga acclamata e prestigiosa che parte dalle prime manifestazioni presso la preziosa Chiesa della Pietà de' Turchini di Napoli (detta “Incoronatella”), per arrivare alle più importanti ribalte internazionali, con l’ambizione di riproporre il repertorio delle fonti napoletane –  riscoperte e studiate sin dall’inizio da Antonio Florio con la collaborazione del musicologo Dinko Fabris – permettendo di recuperare brani di elevatissima qualità compositiva e poetica legati alle figure, non sempre adeguatamente riconosciute dalla storiografia, di autori come Sabino, Salvatore, Netti, Caresana, Veneziano, Leo, Jommelli, Vinci, Latilla, Paisiello, Provenzale. Un percorso culturalmente esaltante e didatticamente di assoluto rilievo che ha contribuito alla riscoperta di importanti tesori musicali, oggi nel repertorio di illustri altri artisti, e alla formazione di un’intera generazione di musicisti non solo napoletani avviati alla “musica antica”. Innumerevoli le collaborazioni artistiche e scientifiche avvicendatesi sin da subito e concretizzate in storiche esecuzioni concertistiche e incisioni discografiche di riferimento per etichette come Symphonia e soprattutto Opus111, con la fortunata collana “Les Trésors de Naples”. Non si contano poi le esibizioni nelle più prestigiose sedi nel mondo, Stati Uniti, Argentina, Colombia, Brasile, Cile, Cina, Giappone e naturalmente in Europa, vantando anche un invito di Claudio Abbado alla Philharmonie di Berlino.

Una parte di questo esaltante percorso artistico era stato compiuto con la creazione a Napoli di un Centro di Musica Antica a partire dal 1997. Dal 2010, a seguito di evidenti divergenze artistiche, gli originari animatori musicali e scientifici, a cominciare da Florio e Fabris, hanno avviato percorsi diversi rispetto alla Fondazione Pietà de' Turchini, difendendo la loro storia e il percorso interpretativo noto in tutto il mondo.


Oggi, forti anche della collaborazione con la raffinatissima etichetta discografia spagnola Glossa, i musicisti che si riconoscono nelle linee programmatiche e poetiche dei Turchini originali – indipendentemente dalla struttura che oggi porta quel nome – si sono ribattezzati Cappella Neapolitana Antonio Florio, proseguendo col rigore e lo slancio di sempre l’attività di ricerca, restauro e interpretazione dei “tesori musicali di Napoli”.

Con questo nuovo nome, la Cappella Neapolitana Antonio Florio continua il suo glorioso impegno nella vita musicale internazionale, che ha come primo frutto tangibile il cd per l'etichetta Glossa Gaetano Veneziano: Passio in distribuzione da aprile, con la partecipazione del Ghislieri Choir e i solisti vocali Raffaele Pe, Luca Cervoni, Marco Bussi. A Gaetano Veneziano, musicista del quale nel 2016 ricorrono i trecento anni dalla morte, e alla sua Passione secondo Giovanni (c. 1685) è dedicato anche il primo appuntamento concertistico della Cappella Neapolitana Antonio Florio, il prossimo 24 marzo a Napoli (Auditorium Castel Sant'Elmo, ore 21), nella Stagione dell'Associazione Alessandro Scarlatti. L'ensemble sarà quindi impegnato a Firenze (14 giugno) e in numerosi festival estivi i cui programmi saranno noti a breve.

Fonte: comunicato stampa

martedì 9 febbraio 2016

TORINO / Da stasera al Regio la nuova "Tosca" di Palumbo e Abbado in prima europea

Daniele Abbado
TORINO - Stasera martedì 9 febbraio, alle ore 20, il Regio di Torino mette in scena Tosca di Giacomo Puccini, il primo capolavoro del Novecento musicale italiano, in un nuovo allestimento in prima europea.

Renato Palumbo dirige l’Orchestra e il Coro del Teatro Regio, la regia è di Daniele Abbado. Il melodramma di ambientazione storica, dalle forti tinte drammatiche, vanta un cast di solisti di fama internazionale: María José Siri, Roberto Aronica e Carlos Álvarez. Questa produzione è realizzata con il contributo della Società Reale Mutua di Assicurazioni.

La Prima dell’opera è trasmessa in diretta da Rai-Radio3 alle 20, trasmissione inserita anche all’interno del circuito Euroradio. Come di consueto si potrà seguire il backstage, nonché scoprire divertenti curiosità sugli interpreti e sull’allestimento, guardando le Pillole di Passione di Paola Giunti, visibili sul sito del Regio www.teatroregio.torino.it e sul canale YouTube.com/TeatroRegioTorino.



Biglietti in vendita presso la Biglietteria del Teatro Regio, piazza Castello 215
Tel. 011.8815.241/242
presso Infopiemonte-Torinocultura
alla Biglietteria del Teatro Stabile
on line su www.teatroregio.torino.it e telefonicamente con carta di credito al n. 011.8815.270.

Info: tel. 011.8815.557.


Teatro Regio, martedì 9 febbraio 2016, ore 20

MILANO / Mostra, libro, documentario: così la Scala celebra Luca Ronconi

MILANO -  Luca Ronconi si spegneva a Milano il 21 febbraio 2015. A un anno dalla scomparsa il Teatro alla Scala ricorda il grande regista con “Luca Ronconi, il laboratorio delle idee”, una mostra curata da Margherita Palli con Valentina Dellavia che, nelle sue due sedi al Museo Teatrale e presso i laboratori Ansaldo, si propone di indagare lo stretto rapporto tra Ronconi e la macchina teatrale scaligera, il lavoro da cui nacquero i suoi 24 spettacoli al Piermarini. Ripensare oggi la ricerca di Luca Ronconi non è soltanto un omaggio a un maestro che con il suo lavoro ha contribuito a disegnare l’identità stessa della Scala, ma un necessario esercizio di riflessione sulle prospettive della regia d’opera fra tradizione e futuro.

IL VOLUME E IL DOCUMENTARIO -  La mostra, inserita nel palinsesto “Ritorni al futuro” del Comune di Milano, sarà accompagnata dall’uscita del volume “Ronconi – Gli anni della Scala” curato da Vittoria Crespi Morbio per gli Amici della Scala e del documentario “Ronconi all’Opera” prodotto da Rai Cultura per la regia di Felice Cappa, che andrà in onda su Rai5 il 21 febbraio alle 21.15, ed è stata realizzata con la collaborazione del Piccolo Teatro di Milano, del Centro Teatrale Santa Cristina, di docenti e studenti di NABA Nuova Accademia di Belle Arti Milano e il contributo di JTI (Japan Tobacco International), Partner Istituzionale del Museo Teatrale alla Scala.


L'EREDITA' ARTISTA E INTELLETTUALE -  “Luca Ronconi ha lasciato a Milano una grande eredità artistica e intellettuale - ha detto l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno -, e perché la nostra Città riesca a ricevere il testimone della sua straordinaria esperienza, rilanciando nel futuro i semi di una nuova capacità creativa, è necessario ricordare la sua figura centrale e il suo lavoro attento, quasi maniacale, sulle parole e sulle immagini. È solo mettendo al centro della riflessione pubblica l’idea di futuro, infatti, che riusciremo a trasformare i talenti creativi che abitano questa città in nuovi protagonisti delle prossime stagioni della nostra storia”.
“Con questa mostra – commenta il Sovrintendente Alexander Pereira – il Teatro alla Scala rende omaggio a un artista che, attraverso 24 spettacoli in collaborazione con direttori come Abbado, Muti e Chailly e scenografi e costumisti di immenso valore, ha segnato profondamente per quattro decenni l’evoluzione della regia d’opera come il teatro di prosa e la cultura non solo italiana. Con Margherita Palli abbiamo voluto utilizzare anche gli spazi dell’Ansaldo per testimoniare il legame speciale che legava Ronconi ai lavoratori scaligeri e ribadire ancora una volta il ruolo di questi laboratori nel definire l’unicità del nostro Teatro”.
Spiega Margherita Palli: “Ho pensato ad una mostra proprio dentro i laboratori dell’Ansaldo per ricordare le 24 regie di Luca Ronconi attraverso il suo rapporto con i cantanti, con le maestranze, con il palcoscenico e i laboratori; cercando di far rivivere l’atmosfera di lavoro nascosto, i mesi di progetto, di costruzione, di prove in sala e in palcoscenico, curiosando dietro le quinte per arrivare alla sera della prima. Una mostra al Museo ricordando i collaboratori, gli scenografi e i costumisti. Due mostre che ho articolato pensando ai giovani che faranno il teatro del futuro, un tentativo di raccontare il lavoro totalizzante sullo spazio e il costume del regista che ha rinnovato il linguaggio della contemporaneità nel teatro”.

LA MOSTRA - “Luca Ronconi – Il laboratorio delle idee” sarà aperta al pubblico dal 24 febbraio al 24 maggio e proporrà un percorso in due tappe. L’itinerario inizia ai Laboratori Scala Ansaldo di via Bergognone 34 con “Luca Ronconi dietro le quinte”, uno spettacolare allestimento su una passerella sospesa che ripercorre uno per uno i 24 allestimenti scaligeri di Ronconi con altrettanti tavoli di lavoro su cui intorno alle maquettes si riuniscono disegni, fotografie, documenti e oggetti di scena. Al termine del percorso uno spazio è dedicato a Infinities, lo spettacolo che Ronconi realizzò con il Piccolo Teatro negli spazi della Bovisa, sede storica dei laboratori scaligeri.
La mostra è un’ulteriore occasione per visitare i laboratori dell’Ansaldo, la grande officina su cui si fonda l’unicità produttiva del Teatro alla Scala, oggi uno dei pochissimi in grado di creare tutte le parti di uno spettacolo. Presso l’Ansaldo sarà costruito anche uno spazio per conferenze per ospitare la presentazione del volume degli Amici della Scala e un ciclo di incontri.
Il percorso prosegue al Museo Teatrale alla Scala in largo Ghiringhelli 1 con “Luca Ronconi in scena”, un approfondimento sulle collaborazioni di Ronconi con scenografi come Luciano Damiani, Ezio Frigerio, Gae Aulenti, Margherita Palli e costumisti come Vera Marzot, Karl Lagerfeld e la stessa Palli. In esposizione abiti, bozzetti, figurini e oggetti di scena, mentre sugli schermi scorrerà il documentario realizzato da Rai Cultura.

Informazioni: www.teatroallascala.org


Luca Ronconi, il laboratorio delle idee: dal 24 febbraio al 24 maggio 2016

Luca Ronconi dietro le quinte

Laboratori Scala Ansaldo

Via Bergognone, 34

Visite guidate su prenotazione: Civita Cultura

servizi@civita.it tel. 02 43353542

Luca Ronconi in scena

Museo Teatrale alla Scala

Largo Ghiringhelli, 1

Tutti i giorni 9 - 12 e 13.30 - 17

lunedì 8 febbraio 2016

MILANO / La Scala ricorda Gavazzeni dedicandogli La Fanciulla del West

MILANO - Gianandrea Gavazzeni si spegneva a Bergamo vent’anni fa, il 5 febbraio 1996. Il Teatro alla Scala e il Direttore Principale Riccardo Chailly lo ricordano dedicandogli la prima rappresentazione della nuova produzione de La fanciulla del West che andrà in scena il prossimo 3 maggio con la regia di Robert Carsen.
La figura di Gianandrea Gavazzeni - ha spiegato il Direttore Principale Riccardo Chailly - svolge un ruolo nella storia della Scala: fu continuatore di una tradizione che affonda le radici nel rapporto diretto con Toscanini e i grandi del primo Novecento, e difensore curioso e colto del repertorio italiano. Voglio menzionare in particolare l’impegno convinto a favore delle opere di Puccini. Se il suo ultimo titolo pucciniano fu La bohème, occorre ricordare almeno il Trittico e la sua interpretazione de La fanciulla del West nel 1964 con Gigliola Frazzoni, Franco Corelli e Giangiacomo Guelfi. Insieme all’Orchestra, al Coro e a tutto il Teatro abbiamo deciso di dedicargli la prima della nuova produzione di Fanciulla il prossimo 3 maggio; io, personalmente, aggiungo il mio affetto, la stima e la simpatia umana per uno straordinario musicista e uomo di cultura che ho avuto modo di conoscere e frequentare”.
Nato a Bergamo nel 1909, Gavazzeni studia all’Accademia di Santa Cecilia a Roma e al Conservatorio di Milano, frequentando le classi di composizione di Ildebrando Pizzetti. Decisivo è l’incontro con Arturo Toscanini: il rapporto col Maestro proseguirà fino alla morte di questi.
Nel 1935 scrive per il Donizetti l’opera “Paolo e Virginia”, ma nel 1949 decide di abbandonare la composizione per dedicarsi alla direzione d’orchestra; già nel 1933 debutta con l’orchestra dell’EIAR di Torino; alla Scala debutta nel 1943 con un concerto e l’anno seguente con Il campiello di Wolf Ferrari: da allora il legame con il Teatro milanese rimane strettissimo e costante fino alle recite di Stiffelio di Verdi nel 1995, culminando negli anni di direzione artistica dal 1966 al 1968. Gavazzeni dirige oltre 100 spettacoli (incluse le riprese) coprendo un repertorio vastissimo, specchio di un’immensa cultura musicale riversata anche nell’attività di critico e saggista: si va da Mavra di Stravinskij al celebre Turco in Italia con la Callas e Zeffirelli e al Giulio Cesare di Händel, da La Fiera di Sorocinskij di Musorgskij a Norma di Bellini o Anacréon di Cherubini. In una vita così ricca di musica si distinguono almeno quattro direttrici che hanno segnato la cultura musicale italiana. La prima è l’amore viscerale per Verdi, tutto Verdi: accanto ai grandi titoli ricorrenti, soprattutto Un ballo in maschera, Il trovatore e Aida, Gavazzeni è tra i primi a intuire il valore delle opere fino ad allora considerate minori: nel 1966 dirige Simon Boccanegra con Leyla Gencer e Giangiacomo Guelfi, allora una rarità, cui seguiranno Luisa Miller nel 1976 con Pavarotti e Caballé e ancora nel 1987 I lombardi alla prima Crociata, I due Foscari nel 1988 e Stiffelio nel 1995.
La seconda è l’impegno alla scoperta del concittadino Donizetti: ricordiamo almeno Anna Bolena con Callas e Simionato nel 1957, La favorita con Fiorenza Cossotto e ancora la Simionato nel 1962, Linda di Chamounix con Margherita Rinaldi nel 1972.
La terza è la fedeltà alle sue origini musicali che accanto a Pizzetti, le cui opere Gavazzeni dirige con assiduità, includono un rapporto di intima familiarità con il repertorio in senso lato verista: La fiamma di Respighi con Inge Borkh nel 1955, Fedora con la Callas e Corelli nel 1956 e poi con Freni e Domingo in alternanza con Carreras nel 1993, Iris di Mascagni nel 1957, Adriana Lecouvreur con Magda Olivero nel 1958 e poi in innumerevoli varianti e riprese fino al 1991, Andrea Chénier con Del Monaco in alternanza con Corelli nel 1960, L’amico Fritz con Freni e Raimondi nel 1963, Madame Sans-Gêne nel 1967, Loreley nel 1968.
Infine va ricordata la militanza pucciniana di Gavazzeni anche in anni in cui il compositore di Lucca godeva di poca considerazione presso parte della critica e del mondo musicale più legato alle avanguardie. Gavazzeni dirige la sua prima Tosca alla Scala nel 1948 (ne seguiranno numerose altre, nel 1958 e 59 con la Tebaldi), Manon nel 1957 con Di Stefano e Petrella, Butterfly nel 1958 con la Frazzoni in alternanza alla Jurinac e nel 1963 con la Scotto, e nel 1959 un Trittico dal cast leggendario in cui campeggiano Bastianini e la Petrella, la Jurinac, Gobbi, Raimondi e la Scotto; non saranno da meno quelli del 1962 e del 1983. I ricordi pucciniani degli ultimi anni di Gavazzeni sono legati alla riscoperta de La rondine e a un’indimenticabile serie di recite de La bohème nel 1994 con Mirella Freni e Roberto Alagna.




Fonte: comunicato stampa 

SCALA / Tutt’altro che Vanità: il Trionfo di Handel (e del Barocco)


Applausi convinti per la messa in scena scaligera del “Trionfo del Tempo e del Disinganno”, oratorio scritto dal ventiduenne compositore sassone durante il suo soggiorno romano

di Elena Percivaldi

Il trionfo, l’altra sera alla Scala, oltre che del Tempo e del Disinganno è stato di Handel e della musica barocca in generale. A onta dei numerosi posti vuoti (ci riferiamo alla recita del 30 gennaio), il successo di questo lavoro poco conosciuto e poco rappresentato del grande sassone (a parte la sensualissima e sublime “Lascia la spina”, già sarabanda nell’Almira del 1705, riutilizzata a Londra nel Rinaldo come “Lascia ch’io pianga” e destinata a fama imperitura come aria di baule per innumerevoli interpreti) è stato infatti notevole: a riprova che anche Milano ha il suo pubblico fedele al genere, magari non così numeroso come quello che solitamente accorre al repertorio romantico e ottocentesco, ma di certo dotato al solito di gusto e capacità di apprezzare le cose belle quando le vede e le ascolta. E questa messa in scena dell’oratorio che Handel giovinetto compose nel 1707 per Roma una cosa bella lo è. E molto.
Come di consueto in questo genere di lavori a stampo moraleggiante – giacché l’opera era vietata nell’Urbe dei Papi -, l’azione praticamente non esiste. Il libretto composto dal cardinale Benedetto Pamphilj si basa su un classico topos dell’epoca, le variazioni sul tema (con ammiccamenti macabri annessi) della Vanitas e del Memento Mori. Quattro i personaggi in scena: Bellezza e Piacere (soprani), Tempo e Disinganno (contralto il secondo,  tenore il primo contrariamente alla prassi di conferire il ruolo a un basso: la scelta fu dettata ad Handel probabilmente dai cantanti che aveva a disposizione). Trama: Bellezza è felice perché crede d’esser bella in eterno, sorretta in questa convinzione da Piacere suo alleato; Disinganno le mostra la cruda Verità: il Tempo inesorabile farà sfiorire le rose e tutto finirà in cenere. Conclusione: Bellezza si spaventa, si pente, abbandona Piacere e si converte, accolta da un Angelo della redenzione mandatole direttamente dal Cielo.
Senza praticamente dinamica alcuna, né colpi di scena roboanti, né clamorosi deus ex machinacome si possono proporre in teatro quasi due ore e mezza di musica, per quanto sublime, senza risultare noiosi? Il modo scelto dai registi Jürgen Flimm e Gudrun Hartmann anche grazie alle scene di Erich Wonder è semplice ma geniale: calare le quattro Allegorie (che di ciò alla fine si tratta) nel mondo umano e quindi nel tempo, lasciandole contemporaneamente fuori dal tempo stesso. La scena viene posta in un grande locale Déco (ispirato, ci dicono le note di sala,  alla brasserie La Coupole di Boulevard Montparnasse a Parigi, inaugurata nel 1927). Siamo alla fine di una serata qualunque, con avventori qualunque che ciacolano e brindano forse un po’ annoiati dal rito mondano tutto borghese di frequentarsi, parlottare, corteggiarsi, stretti nei loro bellissimi abiti alla moda (firmati da Florence von Cerkan). Il loro brulicare, andare e venire, sbevazzare e ridacchiare circoscritto nel tempo e nello spazio, allietato da trovate simpatiche come gli avventori che entrano nel locale per sfuggire alla tempesta di neve o la sfilata di moda sul bancone, o intervallato da presenze meno coerenti come due bimbi vestiti da chierichetti o un gruppo di suore.

Esso fa da sfondo al dramma eterno che si consuma sul proscenio, dove Bellezza, una giovane donna proprompente dalla chioma biondo platino, si guarda allo specchio e medita: Oggi sono così, “ma pur un dì mi cangerò”. E se Piacere si affanna a convincerla del contrario, a guastare la festa ci pensano Tempo e Disinganno con la loro risposta ineluttabile: tutto è caduco, meglio redimersi fin che si è in tempo. A fare da trait d’union tra tempi moderni e assenza di tempo, oltre agli avventori che comunque a tratti interagiscono con le Allegorie, è lui, Handel in persona, che compare in abiti settecenteschi e parruccone suonando l’organo (che proviene invero dal golfo mistico) durante l’omaggio (allusione erotica?) che il cardinale Pamphilij, forse invaghitosi del giovane compositore, gli dedicò sui versi “Un  leggiadro giovinetto, / bel diletto / desta i suono lusinghier”. Abbattute e normalizzate le barriere, unico appiglio resta la Musica, con la sua scultorea ed eterna bellezza, a ricordarci “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” e l’infinita vanità del tutto.
Sul piano musicale, l’esecuzione scaligera si segnala per almeno due ragioni. La prima: la creazione da parte di Diego Fasolis, appositamente per questa occasione, di un’orchestra su strumenti storici che sarà destinata, da qui ai prossimi anni, a portare al Piermarini almeno un’opera barocca a stagione (finalmente!). La seconda: l’esecuzione stessa, pregevole per la varietà del timbro e la qualità dell’organico, capace di esaltare i variegati e multiformi colori di una partitura non facile e sicuramente geniale sia per qualità, sia per inventiva, sia per la stupefacente (e rapidissima) assimiliazione di tutti i registri compositivi in uso nell’Italia del tempo.

Nel complesso si sono dimostrati all’altezza della situazione anche i solisti, salutati alla fine con una vera e propria ovazione. Martina Jankovà, soprano svizzero di origine ceca, ha saputo interpretare molto bene la trasformazione progressiva di Bellezza da Marilyn a Maddalena penitente, cogliendone tutte le sfaccettature grazie anche ad un mezzo vocale corposo, duttile e agile. Un po’ più in difficoltà è sembrata Lucia Cirillo: il suo Piacere è stato tratteggiato in maniera elegante ed efficace, ma quanto a volume non ha retto in maniera omogenea il grande sforzo richiesto dalla partitura, tanto che nell’ultima terribile aria di tempesta, “Come nembo”, è parsa in difficoltà con la tenuta dei fiati e imprecisa in alcune colorature. Apprezzabilissima come sempre è stata Sara Mingardo, voce magnetica dai gravi rotondi e bruniti, che ha confermato ancora una volta (semmai ce ne fosse bisogno) la sua statura di interprete barocca di riferimento. Chiude il quartetto Leonardo Cortellazzi, un Tempo sicuramente corretto ma forse un po’ algido per risultare appieno coinvolgente.

Da Classicaonline.

giovedì 4 febbraio 2016

BOLOGNA / Al via la stagione di concerti 2016, protagonista assoluta la sinfonia

Michele Mariotti
BOLOGNA - Play. La Stagione di Concerti 2016 del Teatro Comunale di Bologna torna a svolgersi in gran parte nella storica sala del Bibiena, grazie al sostegno di Alfa Wassermann, che ha finanziato la nuova camera acustica realizzata da "Suono Vivo srl", azienda leader nel settore in campo internazionale. La Stagione, che ha come protagonisti Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna, si sviluppa lungo un percorso di 14 appuntamenti sinfonici, punteggiato da quattro programmi dedicati a Beethoven e a Mahler, diretti da Michele Mariotti. 
Dopo la Nona di Beethoven del concerto inaugurale al Comunale (6-7 febbraio), il Direttore musicale del teatro felsineo sarà protagonista il 17 aprile al Manzoni con la Leonore ouverture n. 2 op. 72a e la Sinfonia n. 2 op. 36 di Beethoven, proposte insieme ai Lieder eines fahrenden Gesellen di Mahler, interpretati dal baritono Nicola Alaimo; il 28 settembre al Comunale è la volta della Sinfonia n. 5 op. 67 e del Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra op. 58 di Beethoven, quest'ultimo con la giovane pianista Beatrice Rana, già richiestissima a livello internazionale, proposti accanto a Blumine di Mahler; ultimo appuntamento di Stagione con Mariotti il 2 ottobre nella Sala Bibiena con un “tutto Mahler:” la Sinfonia n. 1 “Il titano” e i Kindertotenlieder interpretati dal baritono austriaco Markus Werba. 
Spiccano sul podio le presenze di Fabio Biondi, in un programma interamente mozartiano (La clemenza di Tito ouverture K 621, la Sinfonia n. 36 K 425 “Linz” e la Sinfonia n. 41 K 551 “Jupiter”) il 10 febbraio al Comunale, e di Nikolaj Znaider, che il 22 giugno, sempre al Comunale, proporrà tre pagine di Brahms, l'Ouverture Accademica op. 80, Nänie op. 82 e Schicksalslied op. 54, oltre alla Sinfonia n. 3 op. 97 “Renana” di  Schumann. 
Il 13 e 14 ottobre, nell'ambito del Festival “Bologna Modern”, Znaider dirigerà anche un brano di Wolfgang Rihm in prima esecuzione assoluta, commissionato della Regia Accademia Filarmonica, la Sinfonia n. 9 D 944 “La Grande” di Schubert e il Concerto per violino e orchestra “Alla memoria di un angelo” di Berg, suonato dalla violinista Arabella Steinbacher. Alla guida di Orchestra e Coro bolognesi anche lo slovacco Juraj Valčuha, impegnato il 22 aprile al Manzoni in Ein deutsches Requiem op. 45 di Brahms. 
Tra i protagonisti al Comunale, il 7 ottobre troviamo ancora Jonathan Stockhammer, che presenterà le Variazioni su un tema di Haydn op. 56a di Brahms, la Sinfonia n. 100 “Militare” di Haydn e la Sinfonia n. 4 op. 29 “The Inextinguishable” di Nielsen. 
Altri appuntamenti al Manzoni vedranno Dmitri Liss dirigere Holoubek op. 110 di Dvořák, Don Juanop. 20 di Strauss e la Suite n. 3 op. 55 di Čajkovskij il 4 marzo; Mario Venzago salirà sul podio il primo aprile per la Sinfonia n. 4 “Romantica” di Bruckner e per il Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra op. 19 di Beethoven, interpretato da Roman Zaslavsky; il 28 ottobre Andrea Faiduttidirigerà Tres sacrae cantiones (Carlo Gesualdo da Venosa), Monumentum pro Gesualdo di Venosa ad CD annum di Stravinskij, La Nuit, cantata per soprano, coro femminile e orchestra op. 114 e ilGloria in Sol maggiore per soprano, coro misto e orchestra di Poulenc; Alexander Lonquich, atteso il 23 novembre nella doppia veste di solista e direttore, si confronterà con due concerti per pianoforte e orchestra di Mozart (n. 14, K 449 e n. 22, K 482) e con la Sinfonia n. 1 op. 25 “Classica” di  Prokof’ev. Chiude la stagione il 29 novembre il concerto con Aziz Shokhakimov, impegnato inSecheresses, cantata per coro e orchestra FP 90 di Poulenc e nella Sinfonia n. 2 di Chačaturjan; solista della serata il violoncellista Steven Isserlis, che interpreta il Concerto per violoncello e orchestra op. 58 di Prokof’ev. 
I biglietti dei concerti (da 30 a 15 euro) sono in vendita presso la biglietteria del Teatro Comunale di Bologna. 
Informazioni su www.tcbo.it