Successo per il
capolavoro donizettiano con un Vittorio Grigolo in forma smagliante.
Incantano ancora le
scene e costumi di Tullio Pericoli, che hanno la forza del classico
Fiabesco,
leggero e ironico:
l'Elisir
che fa bene alla Scala
di Elena Percivaldi
Che l'Elisir d'amore
di Gaetano Donizetti sia opera solo apparentemente tutta
giocosa è un dato assodato. Molti sono i momenti in cui il grande
compositore bergamasco si discosta dai luoghi comuni del genere,
fissato da poco in forma definitiva e imperitura da Rossini, e li
supera a cominciare dal trattamento dei personaggi di Adina e
Nemorino: figura poliforme e polifonica la prima (che pur
appartenendo alla classe dei rustici se ne discosta per cultura e
capacità di dialogare allo stesso livello con il militare e il
dottore, seducendoli e soggiogandoli con la sua ironia), “idiota”
in formazione il secondo (che da spasimante ingenuo e bamboccione
cresce via via acquisendo consapevolezza e introspezione fino al
coronamento finale). Vi è poi una non troppo velata critica contro
l'abitudine diffusa di decretare il successo solo in virtù
dell'appartenenza sociale e del denaro (e relativa finzione dei
sentimenti). Ancora, il tema dell'amore nobile ed elevato non come
esclusiva prerogativa della nobiltà e dell'alta borghesia, ma
proprio anche dei “rustici”. Infine la volontà di indagare il
tema dell'illusione come bisogno intrinseco dell'essere umano, che
spiega il successo dei ciarlatani di tutti i tempi, dai venditori di
elisir di una volta agli imbonitori tv di oggi. Chiave e cerniera di
tutto ciò è Dulcamara, la macchina dinamica che indirettamente
(l'elisir è solo un effetto placebo) svela le cose come stanno e
agendo consente suo malgrado il trionfo finale dei valori positivi di
costanza e onestà: Adina è da sempre innamorata di Nemorino e solo
quando sta per perderlo decide di uscire dagli indugi e dichiararsi,
sconfessando la sua volubile civetteria vinta com'è dalla nobiltà
d'animo e dalla sincerità dei sentimenti del giovane spasimante.
Rimane nello stereotipo, in questo caso grottesco, solo il soldato
Belcore, sempiterna macchietta del “miles gloriosus” popolare
nella commedia sin da tempi di Plauto.
L'ascolto di questo
gioiello del teatro ottocentesco non è mai quindi pura ripetizione
di cliché fini a se stessi, ma dona – se ben eseguita e
rappresentata – spunti di riflessione sulla poetica del
compositore, estremamente raffinata anche nel genere “popolare”,
specie se in pieno accordo con un libretto felice come questo di
Felice Romani, superiore di molto all'originale di Scribe da
cui la piéce è tratta. Ed è stato il caso della recita scaligera
(abbiamo assistito alla seconda) che tornava in Teatro dopo
l'allestimento (coraggioso ma premiato da grande successo di
pubblico) all'aeroporto di Malpensa e proposto anche in tv da Rai 5.
Una messa in scena nel complesso (salvo qualche incertezza iniziale)
ben eseguita, coinvolgente, ironica e dominata dalla prorompente
personalità di un tenore, Vittorio Grigolo, la cui capacità di
stregare il pubblico sia con la voce sia come animale da palcoscenico
è ormai ampiamente riconosciuta. Ma di lui si dirà tra poco.
Il trionfale successo
della serata (nei report della “prima” si legge invece di fischi
che sembrerebbbero a questo punto ingiustificati) è stato aiutato
dalle scene e dai costumi dell'artista Tullio Pericoli (ormai
classici: ideati per l'Opera di Zurigo nel 1995, rielaborati nel '98
e ripresi nel 2001, incantano però di nuovo), che ha trasposto la
vicenda in una sorta di villaggio disneyano bidimensionale dai toni
fiabeschi e sognanti, un po' naif forse ma leggeri, divertenti e
suggestivi. La sua lettura è stata assecondata dalla regia di
Grischa Asagaroff che ha puntato molto sugli interpreti, tra i
quali come capacità di attore hanno brillato, oltre a Grigolo, il
bravo Michele Pertusi nei panni di un irresistibile Dulcamara
e il suo aiutante Jan Pezzali.
E veniamo alla parte
musicale. Fabio Luisi ha diretto in maniera pulita una
partitura dinamica e certo non semplice soprattutto nella scelta di
alcuni tempi (e infatti in una o due occasioni si è registrata una
lieve sfasatura con la parte cantata). Tuttavia la prova è risultata
a nostro giudizio positiva ed efficace nell'evidenziare i vari
“mood” dell'opera, ora ironici, ora sognanti, ora introspettivi
Splendida in particolare ci è parsa la resa, sospesa e fuori dal
tempo, della celebre romanza di Nemorino: voluta quasi come momento a
parte, alludendo forse alla nota questione dell'introduzione forzata
del pezzo inizialmente non previsto nel testo del libretto.
Vittorio Grigolo |
Per quanto riguarda le
voci, applauditissimo e a ragione è stato Vittorio Grigolo:
in effetti la sua è una vocalità prorompente che, accoppiata a
un'esuberanza scenica notevole (che, come si è già detto altrove, a
volte può anche risultare affettata e sopra le righe), dona a
Nemorino una personalità di tutto rispetto e senza penalizzare le
sfumature. Egli rende bene il passaggio dall'incontenibile e ingenua
energia giovanile del primo atto alla progressiva maturazione e presa
di coscienza del secondo, ritagliando nella celebre “Furtiva
lacrima” un gran bel momento di introspezione dolente, tutto
pianissimi e smorzati: davvero un'esecuzione suggestiva e di grande
impatto, travolta meritatamente dall'ovazione.
Nel complesso discreta la
prova di Eleonora Buratto. La sua Adina è stata scenicamente
ben interpretata - maliziosa quanto basta, ammiccante, in alcuni
momenti anche altera -, ma vocalmente è risultata alterna. Il timbro
è bello e pieno, ma l'emissione non sempre perfettamente
controllata. Così accade anche che si senta poco nelle note gravi,
mentre gli acuti viceversa siano voluminosi ma fissi e non sempre
armoniosi, giungendo ai confini dello strillo.
Discorso simile per il
Dulcamara di Michele Pertusi. Sul palco ha reso magistralmente
il personaggio gigioneggiando il giusto e risultando molto divertente
nel siparietto della gondoliera (in cui anche la Buratto ha dato il
meglio di sé sul piano attoriale). Dal punto di vista vocale però
è sembrato incerto all'inizio, con emissione un po' fiacca e volume
scarso: ma scaldati i motori ha poi condotto la prova da par suo in
crescendo, risultando alla fine con Grigolo il più gradito dal
pubblico. Non pienamente soddisfacente invece la prestazione di
Mattia Olivieri, che ha mostrato qualche difficoltà di troppo
nei passaggi di agilità e nei gravi ci è sembrato non
sufficientemente profondo e pure un po' spento. Buona, infine, la
Giannetta di Bianca Tognocchi, dotata di bella voce chiara e
intonata. E buono come sempre il coro di Bruno Casoni.
LOCANDINA
Adina Eleonora Buratto
Nemorino Vittorio Grigolo
Belcore Mattia Olivieri
Il Dottor Dulcamara Michele Pertusi
Giannetta Bianca Tognocchi
Accompagnatore di Dulcamara Jan Pezzali
Il trombettiere Mauro Edantippe
Fortepiano Paolo Spadaro
Regia Grischa Asagaroff
Scene e Costumi Tullio Pericoli
Luci Hans-Rudolf Kunz
Direttore Fabio Luisi